Ancora una sentenza favorevole al licenziamento per aumento del profitto!

indietro

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4015/2017, richiama e consolida l’orientamento già precedentemente espresso con la sentenza n. 25201/2016, specificando il concetto di licenziamento come giustificato motivo oggettivo e regolarizzandolo per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della medesima, ivi comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale o ad un aumento della redditività dell’impresa, purché sia constatato ed accertato oculatamente il nesso causale tra la ragione invocata ed il licenziamento del dipendente nel caso di specie.

Una posizione avvalorata nuovamente dalla Cassazione, Sezione lavoro, con la recente sentenza n. 19655 dell’agosto 2017. Nel caso giudiziario oggetto d’esame, un dipendente di un’azienda operante nel settore automobilistico, era stato licenziato per la soppressione del reparto in cui egli era addetto. Quest’ultimo, con un ricorso al Tribunale in veste di giudice di lavoro, impugnò il provvedimento di licenziamento che, tuttavia, fu dichiarato legittimo.  

Posizione nettamente contrapposta assunse la Corte d’Appello di Campobasso che, viceversa, riformando la sentenza, asserì l’illegittimità del licenziamento per riduzione del personale intimato al lavoratore, condannando dunque l’azienda alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento e dei correlati oneri previdenziali.

Avverso la decisione della Corte d’Appello, il datore di lavoro propose ricorso in Cassazione sulla base di cinque motivi tra cui l’omessa considerazione di incontestati elementi fattuali provati in giudizio, quali la soppressione del reparto, la negata possibilità di dettagliate specificazioni delle più ampie ragioni esposte nella lettera di licenziamento, l’oggettiva impossibilità d’impiego del lavoratore in mansioni equivalenti o superiori e l’indisponibilità di quest’ultimo a conservare il posto di lavoro a condizioni retributive diverse.

I giudici della Cassazione, pur considerando il ricorso inammissibile, hanno confermato il principio secondo il quale il licenziamento è ritenuto legittimo allo scopo precipuo di aumentare la redditività d’impresa, quale ulteriore giustificato motivo oggettivo.

Il tenore degli artt. 3 e 4, legge n. 604/1966, per la quale la possibilità di sopprimere una funzione aziendale rappresentasse un limite vincolante all’autonomia gestionale dell’impresa (art. 41 della Cost.) non può restringere aprioristicamente e in modo pregiudizievole l’ambito di legittimità del licenziamento alle sole ipotesi di giustificato motivo oggettivo (ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa) e soggettivo (un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro) configurate ma, qualora il licenziamento sia determinato da una comprovata anti-economicità della funzione lavorativa, esso risulta legittimo.

Tuttavia, a ben vedere, il giustificato motivo oggettivo quale il licenziamento deve essere necessariamente giustificato da un miglioramento della complessiva struttura organizzativa dell’azienda, dalla contrazione di un costo improduttivo e dal conseguente incremento della redditività e quindi, in ultima istanza, il profitto.

Conseguentemente, il licenziamento, considerato da sempre l’extrema ratio, diviene una manovra possibile per l’imprenditore, il quale gode di un’autonomia organizzativa e decisionale sottratta al vaglio del giudice. Quest’ultimo non può entrare nel merito della questione obiettando la mancata previsione dell’operazione compiuta nella fattispecie di cui agli artt. 3-4, L. n. 604/1966, e può unicamente verificare la totale buona fede, la veridicità, la non discriminatorietà, l’effettiva oggettività della ragione dedotta e il nesso di causalità tra questa e il licenziamento.

Il suddetto intervento riformatore rappresenta una rivoluzionaria interpretazione giudiziale della norma e consequenziale applicazione della stessa, dal momento che la giurisprudenza, valutando inammissibile il licenziamento intimato per mere ragioni di crescita degli utili, considerava, viceversa, fondate ed ammissibili le motivazioni derivanti da un’effettiva e reale necessità di riduzione dei costi, a causa di avverse contingenze di mercato o di un andamento economico negativo.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico Praticante Consulente del Lavoro.