Regole da seguire se decidete di licenziare un dipendente.

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In tempo di crisi aziendale, sappiamo bene che il datore di lavoro può decidere di concludere un rapporto di lavoro con suo dipendente ricorrendo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quale modalità di recesso unilaterale.

Il datore di lavoro, con atto recettizio, esercita tale facoltà, cessando gli effetti del contratto nel momento stesso in cui il lavoratore viene messo a conoscenza della decisione presa.

Tuttavia, a ben vedere, una corretta stesura della lettera di licenziamento per GMO è soggetta al rispetto di specifici presupposti che non sempre trovano una corretta applicazione.

Generalmente intimato per ragioni economiche, la comunicazione del licenziamento deve essere redatta in forma scritta ed alla base possono esservi molteplici cause relative all’attività produttiva, all’organizzazione lavorativa e al regolare funzionamento della stessa. In questi casi, il datore di lavoro può decidere di procedere al licenziamento perché, ad esempio, si trova in situazioni di crisi aziendale e chiusura effettiva dell’attività produttiva, o può decidere d’introdurre innovazioni tecnologiche o nuovi macchinari per migliorare il ciclo produttivo senza il bisogno di avere la stessa manodopera, può anche decidere di affidare servizi o lavori ad aziende esterne (cosiddetta esternalizzazione), o ancora, può modificare e ristrutturare reparti con conseguente soppressione dei posti di lavoro o reparti, oppure accorpando le mansioni del lavoratore licenziato in un’altra posizione lavorativa, può licenziare per inidoneità fisica del dipendente o semplicemente licenzia per il venir meno della mansione cui era assegnato il dipendente senza possibilità di obbligo di repechage.

Considerato come l’extrema ratio sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, il datore di lavoro deve preventivamente valutare se è possibile una ricollocazione del dipendente per un’altra mansione o equivalente e, in caso d’impossibilità, ha l’onere di provarla (obbligo di repechage).

In buona sostanza, sono davvero vari i motivi per i quali il datore di lavoro può scegliere la strada del licenziamento, purché siano sempre riconducibili all’attività produttiva e siano dettati da esigenze di mercato o per incremento dei profitti, purché sia necessariamente giustificato da un miglioramento della complessiva struttura organizzativa, tali da rendere inutilizzabile la posizione lavorativa in questione. Il giudice può controllare il motivo addotto, che non deve essere pretestuoso ma non può sindacarne la scelta, dal momento che essa è espressione della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.).

All’atto della comunicazione, il dipendente può richiedere entro 15 giorni che il datore di lavoro renda noti i motivi del licenziamento e quest’ultimo è tenuto a rispondere alla richiesta con le dovute specifiche e precisazioni, in forma scritta, entro il termine di 7 giorni, pena l’inefficacia del recesso.

Nel caso in cui la scelta del dipendente da licenziare non sia d’immediata individuazione o non sia possibile adempiere all’obbligo di repechage, perchè ad esempio tutte le posizioni lavorative sono tra loro equivalenti, la valutazione circa il dipendente da licenziare va sempre fatta in buona fede, senza porre in essere atti discriminatori, eventualmente seguendo gli ulteriori criteri costituiti dai carichi di famiglia e dagli anni di anzianità.

Ancora una volta il datore di lavoro è sottoposto all’onere della prova nel caso di contestazione giudiziale ed impugnativa da parte del dipendente, adita entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto scritto. Nello specifico deve provare che il posto di lavoro sia stato effettivamente soppresso; di non aver assunto nuovi dipendenti nei mesi successivi (6 mesi) per qualifiche equivalenti, non necessariamente le medesime ma tali da produrre uno stesso inquadramento contrattuale, dal momento che il lavoratore ha il diritto di precedenza; deve essere provata la reale sussistenza e veridicità dei motivi produttivi ed organizzativi che lo hanno spinto ad optare per il licenziamento; il nesso causale tra gli stessi e il recesso intimato ed, infine, l’impossibilità di repechage.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico Praticante Consulente del Lavoro.