Rinunce e transazioni : istruzioni per l'uso!

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Di particolare interesse è la disciplina giuridica e l’ambito di operatività delle rinunce, transazioni e le relative conciliazioni inoppugnabili, intervenute presso le sedi protette. Scopo del presente articolo è l’analisi delle prime due fattispecie, rinviando ai prossimi articoli la trattazione della conciliazione sindacale e corrispondenti casi concreti.

La rinuncia (art. 2113 cod. civ.) è un vero e proprio atto unilaterale di volontà, recettizio, con il quale il lavoratore decide di non esercitare più un suo diritto soggettivo certo, determinato o quantomeno determinabile. Affinché si possa configurare la rinuncia, due sono le condizioni indispensabili:

  • che il lavoratore abbia piena consapevolezza dei diritti che gli spettano,
  • che il lavoratore voglia ed intenda volontariamente privarsi dei suddetti diritti, in tutto o in parte, a vantaggio del proprio datore di lavoro.

Viceversa, la transazione, nella forma semplice, (art. 1965 c.c.) è un contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già iniziata o prevengono una lite che stia per sorgere.

Gli elementi costitutivi sono la volontà di porre fine ad una lite già insorta o prevenire l’insorgenza della medesima (c.d. volontà abdicativa) e la reciprocità delle concessioni tra le parti.

Dunque, siamo in presenza di un atto bilaterale stragiudiziale, il cui principale fine è porre rimedio ad uno stato d’incertezza, in ordine alla spettanza o meno dei diritti oggetto della transazione (c.d. res litigiosa).

Ma vi è la possibilità, mediante accordo transattivo, di creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quelli oggetto della pretesa o della contestazione tra le parti.

Nel caso in cui l’obbligazione originaria venisse sostituita da una nuova obbligazione, differente per oggetto e titolo, si delinea la transazione nella forma cosiddetta novativa, art. 1230 c.c.

La medesima transazione, pertanto, costituisce sia la fonte dell’estinzione dell’obbligazione originaria e sia la fonte di costituzione di una nuova obbligazione in capo alle parti.

Ai fini dell’effetto novativo, è fondamentale che:

  • sotto l’aspetto oggettivo, le reciproche concessioni determinino una totale sostituzione del precedente rapporto, determinando così un’obbligazione oggettivamente diversa,
  • sotto l’aspetto soggettivo, deve sussistere un’inequivoca manifestazione di volontà delle parti, attraverso la quale esse palesano la reciproca rinuncia.

Pertanto, è novativa la transazione mediante la quale le parti abdicano alle proprie personali pretese in cambio di concessioni, al fine di estinguere il controverso rapporto.

Tuttavia, quando le rinunce o le transazioni hanno per oggetto diritti inderogabili di legge e di contratti o accordi collettivi, esse sono invalide. Sono considerati diritti dei lavoratori che derivano da disposizioni inderogabili, ad esempio, il diritto al riposo giornaliero, settimanale e alle ferie, ritenute irrinunciabili ai sensi dell’art. 36 Cost., al fine di garantire al lavoratore un adeguato recupero psico-fisico. Rientra anche l’art. 2103 c.c. relativo alle mansioni, salvo la possibilità di ammettere una deroga rispetto ad altri diritti maggiormente garantiti come la salute, che risulta essere più importante rispetto a quello delle mansioni acquisite. Altro diritto inderogabile concerne il versamento dei contributi previdenziali, al quale il lavoratore non può rinunciarvi. Il titolare del rapporto assicurativo è l’Istituto (Inps, Inail e così via) e il lavoratore non può in nessun modo disporne.

Viceversa, tra i diritti disponibili, di cui il lavoratore può disporre liberamente, rientrano i trattamenti economici concordati direttamente tra datore di lavoro e dipendente (superminimo), il periodo di preavviso, le dimissioni (eccetto quelle che necessitano della convalida da parte della Direzione Provinciale del Lavoro), la risoluzione consensuale, la somma corrisposta per aver accettato il provvedimento di risoluzione del contratto, il diritto di precedenza nelle assunzioni o nelle riassunzioni.

L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi, dalla data di cessazione del rapporto o dalla data di rinunzia o transazione, se intervenute dopo la cessazione medesima. Il lavoratore risulta legittimato ad impugnare la rinuncia o la transazione con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, purché sia idoneo a manifestare la sua volontà.

L’invalidità sancita dall’articolo in esame è connotata da specifiche eccezioni, sancite dal comma 4 della stessa norma, secondo cui le disposizioni dell’articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli:

ex art. 185 c.p.c.: in sede di conciliazione giudiziale, dunque si presuppone la partecipazione all’atto del giudice, il quale, in caso di richiesta congiunta delle parti, fissa la comparazione delle medesime al fine di interrogarle liberamente e giungere così alla conciliazione;

ex art. 410 c.p.c.: dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione, su richiesta d’intervento o del lavoratore, del datore di lavoro o dal committente. La commissione cerca di giungere ad un accordo ma, nel caso in cui le parti abbiano già delineato il contenuto della vertenza, la Commissione svolge un ruolo notarile. Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, entro 20 giorni deve depositare, presso la Commissione, una memoria delle sue difese, delle eccezioni ed eventuali quesiti e successivamente la Commissione convoca le parti per il tentativo di conciliazione. Se ciò non avviene, ciascuna delle parti è libera di rivolgersi all’autorità giudiziaria;

ex art. 411 c.p.c.: in sede di conciliazione sindacale e, dunque, in presenza di conciliatori. Il lavoratore rinuncia a rivendicare un determinato diritto in cambio di un corrispettivo economico;

ex art. 11 del D.Lgs. n. 214/04: in sede di conciliazione monocratica, dinanzi al solo funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro, le parti possono concludere un accordo transattivo per la soluzione di rivendicazioni di natura patrimoniale avanzate dal lavoratore e/o collaboratore. Il tentativo di conciliazione può essere avviato sia a seguito di una specifica richiesta di intervento ispettivo in azienda da parte del lavoratore (conciliazione preventiva) o a discrezione del personale ispettivo, nel corso di un’ispezione (conciliazione contestuale);

art. 412 ter e quater: procedure conciliative ed arbitrali di cui ai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Il collegio di conciliazione e arbitrato è composta da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un soggetto terzo, che assume la qualifica di presidente, scelto di comune accordo;

art. 76 del D.Lgs. 276/03: la certificazione dei contratti di lavoro presso le Commissioni di certificazione, su apposita istanza volontaria. La Commissione verifica la correttezza del contratto di lavoro scelto e può apportare modifiche o integrazioni.

A cura della Dott.ssa Rosaria Pilato – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme – Praticante Consulente del Lavoro.