Poteri degli ispettori e diritti del datore di lavoro a seguito di ispezioni.

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In materia di lavoro e legislazione sociale, la legge attribuisce un particolare potere di accertamento e vigilanza al personale ispettivo, che si estrinseca nella facoltà d’interrogare il datore di lavoro (eventualmente sentito alla presenza di un avvocato o consulente del lavoro), i dipendenti del medesimo, le rappresentanze sindacali e tutti coloro che possono fornire utili informazioni (ad es. clienti, fornitori, ex dipendenti).

Di norma, nel corso del primo accesso ispettivo, vengono acquisite le dichiarazioni dei dipendenti, rese individualmente, in modo chiaro e comprensibile, al fine di preservare la spontaneità, la genuinità delle dichiarazioni del lavoratore stesso ed evitare possibili condizionamenti da parte del datore di lavoro.

Il personale ispettivo potrà decidere d’interrogare i lavoratori, anche al di fuori del posto di lavoro, previo consenso degli stessi.

Una volta acquisite tutte le informazioni necessarie, l’ispettore può procedere alla redazione di un verbale che costituisce atto pubblico (art. 2699 c.c.) e che deve tassativamente contenere:

  • Identificazione dei lavoratori;
  • Descrizione delle modalità d’impiego degli stessi, con una puntuale descrizione delle attività lavorative svolte dai lavoratori e con riguardo alle mansioni svolte, alla tenuta da lavoro, alle attrezzature o macchine utilizzate;
  • Specificazione delle attività compiute dallo stesso ispettore;
  • Eventuali dichiarazioni rese dal datore di lavoro;
  • Ogni richiesta, anche documentale, utile al proseguimento dell’istruttoria.

In qualità di atto pubblico, il verbale ispettivo fa fede fino a querela di falso della sua provenienza, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti dichiarati in presenza dell’ispettore, allo scopo di soddisfare due esigenza di fondo:

  • La pre-costituzione di un solido impianto probatorio;
  • L’esercizio del diritto di difesa da parte del datore di lavoro.

Tuttavia, bisogna prestare attenzione, perché se è vero che per tali dichiarazioni deve ritenersi provato che queste siano state comunque ricevute dai pubblici ufficiali, tale fede non si estende anche al contenuto sostanziale e alla veridicità di quanto affermato. Dunque, il Giudice di merito darà per vero che le parti, in quel preciso orario e determinato luogo, hanno posto in essere determinate affermazioni ma avrà il compito di individuare e valutare le prove, l’attendibilità delle dichiarazioni e la veridicità dei fatti (art. 116 c.p.c. in merito alla valutazione delle prove). Di conseguenza, la piena prova, fino a querela di falso, si limita al fatto che le dichiarazioni siano state rese in presenza dell’Ispettore ma non alla veridicità del contenuto delle dichiarazioni stesse e il Giudice di merito potrà liberamente valutarle.

Come precedentemente accennato, al datore di lavoro spetta un diritto di difesa, che potrà essere esercitato con ricorso ad una copia delle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori. Dal momento che le dichiarazioni rese dai lavoratori rientrano nell’ampia definizione di “documento amministrativo”, il relativo diritto d’accesso si concretizza nel diritto degli interessati a prendere visione degli atti del procedimento o ad estrarne copia, nel rispetto del principio di:

  • Trasparenza, cioè imparzialità, obiettività ed efficienza dell’azione ispettiva;
  • Uniformità dei controlli, cioè parità di trattamento nei confronti dei datori di lavoro sottoposti a ispezione.

Ma, quali sono le condizioni per avere diritto d’accesso agli atti?

Il richiedente dovrà dimostrare di avere un interesse giuridicamente rilevante, che deve essere:

  • Diretto, vale a dire proprio e personale;
  • Concreto, perché deve risultare evidente il nesso fra il soggetto che chiede l’accesso ai documenti e i documenti stessi e ciò si realizza quando il datore di lavoro risulta destinatario del verbale di accertamento e del relativo provvedimento sanzionatorio e lo stesso datore decide di esercitare il suo diritto di difesa;
  • Attuale, perché il datore di lavoro, al quale viene notificato il verbale conclusivo, ha 30 giorni di tempo per presentare la sua linea di difesa, in via amministrativa.

La portata del diritto d’accesso viene però limitata, dal momento che vengono sottratti i documenti contenenti notizie acquisite durante l’attività ispettiva, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni e pregiudizi a carico dei lavoratori o di terzi (art. 24, L. n. 241/90). Anche qualora l’istanza di accesso provenga dal lavoratore, e non dal datore come avviene usualmente, non sarebbe comunque possibile l’accesso, perché i lavoratori devono essere in condizione di collaborare con le autorità ispettive, senza temere ritorsioni in ambito lavorativo. La ratio è tutelare proprio i lavoratori ed i terzi che, durante l’ispezione, cooperano con il personale per far emergere tutte le irregolarità nei rapporti di lavoro.

Nonostante ciò, non è detto che le dichiarazioni rese agli ispettori siano sufficienti di per sé ad integrare, per esempio, il rapporto di lavoro subordinato. La Cassazione, con la sentenza n. 24360 del 16 ottobre 2017, ha stabilito che, nel caso in esame, le dichiarazioni rese agli ispettori del lavoro da parte degli aderenti ad un’associazione di volontariato erano di per sé sufficienti ad integrare la natura subordinata, atteso che essi ricevevano ordini dai responsabili dei servizi ai quali erano addetti; percepivano un rimborso spese fisso per ogni turno e determinato sulla base delle ore lavorate; firmavano i fogli presenza all’inizio del turno; risultavano estranei al contesto organizzativo dell’associazione e prestavano servizio al fine di assicurare la continuità lavorativa.

Nondimeno, per un verso alcuni elementi facevano ben propendere verso un rapporto di lavoro vero e proprio ma, per l’altro verso, la Corte d’appello, affermando che l’attività di volontariato dev’essere prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, non aveva però dato modo alla ricorrente di dimostrare la sua natura, non aveva esaminato le dichiarazioni contrarie, non aveva provveduto all’acquisizione dei verbali di altre cause, né alle prove formulate dalla ricorrente. Quindi, in virtù di un’incompleta disamina dei fatti e delle prove ed in violazione all’obbligo del giudice di decidere la causa tenendo conto della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti (art. 112 c.p.c.), la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’associazione, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico – Praticante Consulente del Lavoro.