Attenzione alla delibera prima di erogare il compenso all'amministratore!

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Il compenso spettante agli amministratori delle società è deducibile dal reddito solo se viene deliberato dall’assemblea dei soci all’atto della nomina o se è previsto dallo Statuto (art. 2389 c.c.).

Tre sono le possibili forme con le quali può essere stabilito il compenso:

  • In misura fissa: con cadenza periodica o una tantum;
  • In misura variabile in base agli utili: quale partecipazione agli utili o mediante gettone di presenza;
  • In misura mista: in parte in forma fissa e in parte in forma variabile;
  • In misura variabile in base al volume d’affari: nonostante questa modalità non sia preferibile, può prevedere l’aggiunta di rimborso delle spese sostenute per il proprio mandato; indennità di fine mandato; compensi in natura o benefici supplementari come l’uso di un auto o di un appartamento.

Il compenso, dunque, dev’essere deliberato dall’assemblea dei soci ma: cosa succede se l’amministratore riceve un compenso non deliberato oppure gli viene erogato un compenso superiore rispetto a quanto stabilito?

Il primo luogo, se l’importo è tale da integrare un danno patrimoniale, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio o profitto, è soggetto a sanzioni (art. 2634 c.c.).

In secondo luogo, un compenso che viene erogato all’amministratore senza che sia stato deliberato precedentemente dall’assemblea, non può essere dedotto dal reddito, dal momento che risulta nullo. Sul piano della deducibilità, questa è sicuramente la conseguenza più immediata anche se per la giurisprudenza è possibile erogare compensi non deliberati, solo se è dimostrato che l’assemblea, durante l’esame ed approvazione del bilancio, abbia anche espressamente discusso ed approvato i compensi per gli amministratori. Dunque, è necessaria una delibera assembleare esplicita ai fini della deducibilità fiscale dei suddetti compensi.

L’amministratore regolarmente svolge attività a titolo oneroso. Tuttavia, è possibile che la prestazione venga svolta anche a titolo gratuito, se prevista nello Statuto, in un’apposita nota integrativa o se risulta da un’apposita delibera dell’assemblea. Sebbene l’amministratore, a sua volta, debba confermare la gratuità, al fine di evitare future contestazioni, potrà essere soggetto ad un accertamento induttivo da parte dell’Agenzia delle Entrate, in quanto il mandato è considerato sempre a titolo oneroso. Pertanto, la rinuncia ad un compenso deve essere espressa anche perché sul piano contributivo e previdenziale, non opera nessun obbligo contributivo.

Qualora il compenso corrisposto all’amministratore sia assimilabile a quello di lavoro dipendente, la deducibilità segue il principio di cassa allargato, ovvero, si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo (art. 51 TUIR). Nello specifico, in ottemperanza al principio di cassa, i pagamenti sono considerati effettuati e percepiti nel momento stesso in cui le somme diventano disponibili per il beneficiario.

In merito al suddetto principio, con la sentenza n. 20033/2017, la Corte ha statuito che bisogna distinguere varie e possibili modalità di pagamento del compenso:

  • Se avviene in contanti: diventa rilevante il momento della consegna materiale del denaro, con la relativa ricevuta confermatoria da parte del ricevente;
  • Se avviene mediante assegni bancari o circolari: rileva la data apposta sull’assegno e, anche se l’assegno viene datato entro il 12 gennaio, ciò non basta perché è necessario che sia stato effettivamente incassato entro quella data;
  • Se avviene mediante bonifici: la data rilevante è quella in cui il lavoratore riceve l’accredito sul conto corrente.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico – Praticante Consulente del Lavoro.