Con la sentenza n. 30417, dicembre 2017, la Corte di Cassazione ha determinato l’illegittimità del licenziamento di un dipendente in malattia, per sindrome ansioso-depressiva, che lavora in un altro luogo, diverso da quello ufficiale, se l’aiuto lavorativo prestato non incide gravemente sulla sua salute psico-fisica.
Nel caso in esame, il dipendente, autista di pullman ed in malattia perché affetto da esaurimento, aveva ripetutamente lavorato nella tabaccheria della moglie e la società, datrice di lavoro, aveva deciso di licenziarlo perché la sua prestazione lavorativa nel negozio della moglie testimoniava che la malattia era simulata.
Il Tribunale, che aveva respinto il ricorso del dipendente, affermava che la sua condotta configurava un’inadempienza ai doveri generali di correttezza e buona fede e che l’attività svolta esternamente faceva ben presumere l’inesistenza della malattia. Al contrario, di diverso avviso è la Corte di Cassazione, la quale precisa che il disturbo dell’adattamento, certificato con referto medico, è ritenuto compatibile con lo svolgimento di attività presso un negozio di proprietà familiare. Secondo i giudici, per il lavoro ufficiale del dipendente, l’esaurimento subito dallo stesso legittima il suo periodo di riposo e dunque, è illegittima la destituzione richiesta dalla società, questo perché sussiste una differenza sostanziale tra le due attività, in quanto l’attività svolta in tabaccheria non avrebbe provocato gravi danni, mentre, guidare un pullman di linea, nello stato psicofisico in cui si trovava il soggetto, poteva risultare pericoloso.
Ricordiamo che il licenziamento rappresenta una modalità di recesso unilaterale dal rapporto di lavoro subordinato, da parte del datore di lavoro. Esso può essere intimato per:
A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico – Praticante Consulente del Lavoro.