Interposizione illecita e appalti non genuini : il caso delle cooperative spurie

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Negli ultimi anni, un fenomeno in crescita riguarda cooperative illegali che offrono manodopera mediante appalto o somministrazione di manodopera, al fine di abbattere il costo del lavoro ed ottenere notevoli risparmi, rispetto a quanto previsto dai CCNL.

Due sono le possibilità che si prospettano: ricorrere alla fornitura di manodopera mediante appalto o, in casi estremi, procedere anche alla risoluzione dei rapporti di lavoro con il personale che verrebbe poi riassunto in somministrazione dalle cooperative, continuando di fatto a fornire la medesima manodopera prestata precedentemente presto gli ex datori di lavoro.

In merito a ciò, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti ha chiesto proprio al Ministro del Lavoro d’intervenire sui casi di cooperative illegali che continuano a proporre attività di somministrazione di lavoro.

Per comprendere a fondo di cosa stiamo parlando, è fondamentale distinguere tra le due fattispecie di somministrazione ed appalto.

La somministrazione consiste nella fornitura professionale di manodopera e consente a qualunque soggetto, detto utilizzatore, di potersi rivolgere ad un altro soggetto detto somministratore, per utilizzare il lavoro di personale non assunto direttamente ma che risulta dipendente del somministratore. Essa può essere esercitata esclusivamente dalle Agenzie per il lavoro autorizzate dal Ministero del Lavoro.

Al contrario, l’appalto (art. 1655 c.c.) è un contratto con il quale un soggetto detto appaltatore si obbliga, con propria organizzazione di mezzi, alla fornitura o alla realizzazione di un’opera o di un servizio per un altro soggetto detto committente, in cambio di un corrispettivo in denaro. Dunque, l’appaltatore deve necessariamente godere di un’organizzazione di mezzi, di capitale e lavoro e viene a ricadere su di lui il cosiddetto rischio d’impresa, del risultato da raggiungere ed il rischio economico, inteso come equilibrio tra costi e ricavi.

La genuinità dell’appalto è connotata dall’autonomia dell’appaltatore e dall’organizzazione d’impresa a proprio rischio. Pertanto, i dipendenti dell’appaltatore non devono in alcun modo sostituire i dipendenti del committente e non devono prendere ordini o disposizioni da soggetti diversi dall’appaltatore, dal momento che non sono soggetti al potere direttivo o di controllo del committente e che quest’ultimo non rimpiazza in nessun modo l’appaltatore.

Nel caso in cui il suddetto rischio venga a mancare, si configura un appalto non genuino e si è in presenza di un’impresa fittizia che, pur dotata di un’organizzazione d’impresa, si limita solamente a fornire la manodopera, senza assumersi il rischio economico inerente alla realizzazione del servizio.

Di conseguenza, l’intermediazione fittizia si configura quando il dipendente dell’appaltatore riceve direttive dal committente, lavora nei locali di quest’ultimo con l’utilizzo di beni e strumenti del committente e con i dipendenti di quest’ultimo. In tal caso, l’appaltatore invece d’impegnarsi a fornire un servizio o a realizzare un’opera, fornisce al committente una prestazione meramente lavorativa, nella sostanza un lavoratore, senza l’organizzazione del fattore capitale (beni mobili ed immobili) che contraddistingue il rischio d’impresa.

Alla luce di quanto esposto, il lavoratore potrebbe ben richiedere, in sede di giudizio, il riconoscimento e la costituzione del rapporto lavorativo alle dipendenze del committente.

L’obiettivo preminente è contrastare la gravità di tali somministrazioni di manodopera, prevedendo una sanzione amministrativa pari a 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione (in ogni caso, non inferiore a 5.000 euro né superiore a 50.000).

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico – Praticante Consulente del Lavoro.