Il patteggiamento penale costituisce prova per il licenziamento disciplinare.

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Con la sentenza n. 30328 del dicembre 2017, la Corte di Cassazione ha deciso che la sentenza a seguito di patteggiamento (art. 444 c.p.p.) può essere equiparata ad una sentenza di condanna definitiva.

Nel caso di specie, la dipendente di un ente locale era stata condannata per aver indotto una sua collega d’ufficio alla prostituzione, approfittando della sua condizione di minorazione psichica. Il processo penale si era concluso con una sentenza di patteggiamento con la quale veniva convalidata l’azione disciplinare per il licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.).

Avverso il ricorso della dipendente secondo la quale il patteggiamento, senza un riesame dei fatti, non può essere idoneo a giustificare il licenziamento, la Corte conferma che, in sede civile, la sentenza di patteggiamento ha piena efficacia probatoria.

In sede penale, infatti, l’imputato, accettando l’applicazione della condanna penale, non aveva contestato né i fatti penalmente rilevanti né aveva negato la sua responsabilità. Per di più, la pena patteggiata presuppone un’ammissione di colpevolezza e ciò fa sì che, da un versante, il datore di lavoro non sia tenuto a fornire ulteriori prove circa il fatto illecito contestato e, dall’altro versante, il giudice non sia più gravato dell’onere di verificare nuovamente i fatti. Eventualmente, dovrà essere il lavoratore imputato a dover procurare tutte le prove necessarie a contestare gli indizi sulla sua colpevolezza.

Di conseguenza, la condotta illecita extra-lavorativa della dipendente è idonea a giustificare il licenziamento ogni qual volta siano lesi gli interessi morali e materiali del datore di lavoro e venga compromesso, in maniera irrecuperabile, il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente.

Ciò si verifica anche quando il comportamento grave non sia stato commesso sul lavoro bensì in un contesto extra-aziendale, come nel nostro caso. Dunque, il licenziamento risulta legittimo quando la condotta incriminata è tale da far dubitare della serietà, della correttezza ed affidabilità del lavoratore nello svolgimento delle sue mansioni. Una prosecuzione del rapporto lavorativo potrebbe danneggiare irrimediabilmente l’immagine dell’azienda.

A cura della Dott.ssa Rosaria Pilato – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico – Praticante Consulente del Lavoro.