Stipendio in ritardo? Il dipendente può dimettersi per giusta causa.

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Cosa succede se il datore di lavoro rinvia il pagamento degli stipendi?

Il dipendente, in caso di mancato ottenimento della retribuzione, può dimettersi per giusta causa, così come ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1713/2017.

Il dipendente ha diritto alla retribuzione, proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro (art. 36 Cost. e art. 2099 c.c.) e deve essere regolarmente retribuito in una data ben precisa.

Dunque, esiste comunque un termine entro cui l’importo in busta paga va versato: il datore di lavoro ha l’obbligo di versare lo stipendio entro il mese successivo.

Tuttavia, potrebbero esserci dei ritardi nei pagamenti e se ciò copre un breve arco temporale (un paio di giorni), in via generale, il dipendente potrebbe avere pazienza, soprattutto se è a conoscenza delle difficoltà economiche in cui si trova il suo datore di lavoro.

Ciò premesso, i CCNL di categoria stabiliscono comunque il termine entro cui lo stipendio dev’essere pagato, con esplicita indicazione della data ultima entro la quale necessariamente il datore di lavoro è tenuto a pagare lo stipendio.

Sebbene la data vari a seconda del contratto, la maggior parte stabilisce il giorno 10 del mese successivo a quello lavorato. Dunque, una volta stabilito il termine preciso, il ritardo anche di un solo giorno, consente la giusta causa di recesso dal contratto, dal momento che il predetto termine diventa intollerabile per il dipendente.

Anche nel caso in cui quest’ultimo fosse a conoscenza di un eventuale crisi aziendale, ciò non giustifica il comportamento del datore di lavoro e le sue gravi inadempienze.

Al dipendente che si dimette in queste circostanze, spetta comunque l’assegno di disoccupazione dall’Inps e può chiedere non solo il versamento della retribuzione mancante ma anche il risarcimento del danno morale subito.

Le sanzioni per il ritardo o la mancata consegna al lavoratore della busta paga variano:

-          Da 150 a 900 euro;

-          Sanzione aumentata sino al triplo, se la violazione concerne più mensilità;

-          Da 600 a 3600 euro, se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori;

-          Da 1200 a 7200 euro, se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori o concerne un periodo superiore a 12 mesi.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico – Praticante Consulente del Lavoro.