Il professionista che ha solo un praticante potrebbe pagare l’IRAP.

indietro

Il presupposto dell’IRAP, per gli esercenti arti e professioni, è il valore prodotto da una attività “autonomamente organizzata”. L’autonoma organizzazione, richiesta dall’art. 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997, non ricorre quando il contribuente impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive. Per esempio un commercialista che possieda mobili per ufficio, un telefono e un personal computer e che ha alle proprie dipendenze una segretaria potrebbe non rientrare nel campo di applicazione dell’IRAP in quanto la sua attività verrebbe svolta con un livello minimo di mezzi e con l’ausilio di collaboratori che non eccedono un dipendente con mansioni esecutive. In altre parole il commercialista scelto per l’esempio non avrebbe una attività autonomamente organizzata e per questo potrebbe non essere soggetto passivo IRAP.

Cosa succede però se un professionista si avvale della collaborazione di un praticante al quale corrisponde anche un emolumento?

La Corte di Cassazione con la Sentenza 1723 del 24 gennaio 2018, nel rinviare alla competente Commissione Regionale per nuovo esame, ha statuito che il professionista che, nell’espletamento della propria attività si avvale della collaborazione di un praticante, potrebbe essere tenuto al pagamento dell’IRAP in quanto l’opera del praticante contribuisce ad accrescere la prestazione intellettuale ed i servizi forniti dallo studio.

Nel caso di specie i Giudici hanno valutato che l’impiego del praticante sarebbe potuto andare  ben oltre il limite previsto di un dipendente con mansioni esecutive. Difatti la Commissione regionale avrebbe dovuto vagliare se il professionista che si è avvalso del praticante ha, con tale apporto, accresciuto il valore della consulenza fornita ai clienti dello studio. Nello specifico la valutazione doveva spingersi a capire se questo apporto, di natura sicuramente intellettuale e professionale, andava a potenziare l’attività professionale e ne costituiva un “quid pluris” tale da ritenersi sussistente il requisito dell’autonomia organizzativa e quindi l’applicabilità dell’IRAP.

In definitiva, l’utilizzo da parte della Corte di Cassazione del condizionale “potrebbe” non è casuale in quanto ha stabilito i principi generali di cui tener conto, fermo restando la necessarietà di una valutazione de quo circa il concreto apporto dato dal praticante e l’incidenza dello stesso sull’incremento e arricchimento in termini professionali dell’attività. Se questo è notevole, se ne deduce l’autonoma organizzazione del professionista, il quale diventa soggetto al pagamento dell’IRAP.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme – Praticante Consulente del Lavoro.