Termina la storia d'amore tra datore di lavoro e lavoratrice e lei lo denuncia.

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Può succedere che tra datore di lavoro e dipendenti scaturiscano delle conflittualità lavorative che possono condizionare il vincolo di fiducia, quale elemento caratterizzante qualsiasi rapporto lavorativo.

In relazione a ciò, il dipendente potrebbe denunciare il suo datore per il reato di mobbing ma, quali sono effettivamente le condotte che configurano l’ipotesi in questione?

Con la sentenza n. 1381 del 19 gennaio 2018, la Corte di Cassazione ha escluso che le condotte poste in essere dal datore, nei confronti della dipendente, possano integrare il reato di mobbing se sono riconducibili alla normale conflittualità in ambiente di lavoro.

Nel caso de quo, già la Corte d’appello aveva respinto il ricorso della dipendente con il quale aveva richiesto il riconoscimento del danno psico-fisico cagionato dai comportamenti del legale rappresentante della società presso la quale lavorava, considerati vessatori e denigratori, nonché tendenti al demansionamento, dopo la fine del loro legame sentimentale.

La dipendente denunciava che, a causa delle condotte datoriali, aveva avuto continue crisi di pianto ed era stata assente per malattia per oltre nove mesi, a seguito delle quali era stata costretta a recedere dal contratto di lavoro per giusta causa.

Tuttavia, la Corte d’Appello aveva escluso che il legale rappresentante avesse tenuto nei confronti della ricorrente un atteggiamento denigratorio, sfociato in aggressioni verbali ed espressioni aggressive o che avesse tentato di emarginarla in ambito lavorativo.

Piuttosto, i comportamenti erano riconducibili alla normale conflittualità, nel caso specifico, accentuata anche dalle recriminazioni reciproche dopo la rottura della loro relazione sentimentale ed era escluso l’intento di demansionare la dipendente dal momento che assumere a termine un altro dipendente rientra tra le espressioni della libertà di scelta imprenditoriale (art. 41 Cost.).

Inoltre, le stesse dimissioni date dalla dipendente non erano sorrette da giusta causa in quanto era assente per malattia da lavoro da ben nove mesi. Dunque, la Suprema Corte aveva avallato la decisione di secondo grado e rigettato il ricorso.

Ricordiamo che per mobbing si intende una condotta ostile del datore di lavoro o del superiore gerarchico, protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, tale da assumere forme di prevaricazione, abusi e vessazioni, intrapresi con coscienza ed intenzione di causare un danno particolare e da cui, perciò, può scaturire un malessere del dipendente e la sua eventuale emarginazione lavorativa, con effetti lesivi del suo equilibrio psicofisico.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico – Praticante Consulente del Lavoro.