Ci può essere rapporto di lavoro subordinato tra fratelli o sorelle?

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Tra fratelli, nonostante lo stretto grado di parentela, è configurabile la subordinazione ove sussistano gli elementi che la contraddistinguono.

Accade di sovente che, nel corso di un’ispezione, si accerti che uno dei lavoratori, assunto con regolare contratto di lavoro dipendente, non soggiaccia in realtà ai vincoli di subordinazione normalmente sottesi allo stesso,  in base alle dichiarazioni rese dalla restante parte dell’organico. È spesso il caso della moglie o del figlio del titolare dell’attività, per i quali è di forte dubbio la configurabilità della subordinazione, per una serie di motivi, quali ad esempio la circostanza della convivenza  e la mancanza di etero direzione, con conseguente disconoscimento del lavoro subordinato.

Tale non è stato il caso di due fratelli, per cui a seguito di una lite tra i due, ci si è trovati di fronte alla circostanza opposta. Uno dei due dava una mano all’altro in negozio, fino a che tale circostanza non è divenuta un’abitudine, per la quale veniva corrisposta dal fratello una somma mensile fissa, in ragione di tale tipo di collaborazione.

Sta di fatto che, a seguito di ricorso, la Corte di Cassazione ha statuito che nulla impedisce che tra fratelli possa instaurarsi un rapporto di lavoro subordinato ma anzi, nel caso di specie, il lavoratore era stato erroneamente tenuto a nero.

L’art. 2094 c.c. descrive gli elementi necessari alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato:

-          Sottoposizione al potere di direzione del datore di lavoro , ovvero l’assoggettamento del lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (etero-direzione);

-          Continuità della prestazione;

-          Lavoro offerto in cambio del pagamento della retribuzione.

Nel caso de quo, il fratello del titolare era a completa disposizione dello stesso, senza margini discrezionali rispetto a scelte determinanti sul proprio lavoro, privo di una propria autonoma organizzazione, con rispetto dei vincoli di orario, con relativo rispetto di un orario di entrata e di uscita e la costante e sempre uguale remunerazione mensile (un vero e proprio stipendio).

Non poteva quindi rinvenirsi un rapporto collaborativo, ovvero una partecipazione all’attività dettata da motivi di assistenza familiare, né l’apporto di una prestazione resa di fronte a contingenti e variabili esigenze di vita.

A cura della Dott.ssa Rosaria Pilato – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme – Praticante Consulente del Lavoro.