Furto di caramelle : lecito il licenziamento per giusta causa!

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Il furto di caramelle da parte di un dipendente, nonostante lo scarso peso economico dello stesso, configura in maniera legittima il licenziamento per giusta causa.

È quanto statuisce la sentenza n. 24014/17 della Corte di Cassazione, a seguito di riscorso di un dipendente che, licenziato per giusta causa, denunciava l’errata applicazione dell’art. 2119 c.c. da parte del datore di lavoro.

I principi sottesi alla sanzione disciplinare massima, il licenziamento disciplinare, sono quelli della gradualità e proporzionalità della sanzione stessa, applicabile di fronte ad un comportamento irrimediabilmente lesivo del vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro e necessario alla sua prosecuzione.

La Corte di Appello di Napoli, a seguito di sentenza del Tribunale di Napoli, confermava la tesi di quest’ultima, ripercorrendo esaustivamente la questione nel merito.

Il furto di caramelle era certamente di modico valore (€ 9.80), non tale da recare un danno patrimoniale all’azienda, ma tale circostanza non attenua la gravità del fatto a favore del dipendente, considerato che la gravità del fatto stesso va commisurata non al valore economico della merce rubata, ma all’immoralità del gesto e alla negazione dei doveri fondamentali del lavoratore.

Tale gesto non può essere alleggerito in ragione del fatto che, in precedenza, il dipendente non aveva mai commesso nessun illecito disciplinare, né subito alcuna relativa sanzione disciplinare, mentre invece il furto risulta atto idoneo a compromettere il rapporto futuro di lavoro, nella motivata presunzione di una possibile reiterazione dell’illecito stesso.

A nulla erano valsi i tentativi difensivi del ricorrente, che aveva fatto riferimento ad un ipotetico piano per incastrarlo, mentre invece era rintracciabile un vero e proprio elemento intenzionale nella circostanza secondo cui, per sua stessa ammissione, non era a conoscenza dei nuovi sistemi antitaccheggio applicati a quei prodotti.

La Corte di Cassazione, specificando la sua funzione di giudice di legittimità (art. 360 c.p.c.), ritiene infondato il motivo di ricorso da parte del dipendente in relazione alla proporzionalità della sanzione espulsiva, ritenendola lecita perché raffrontabile non tanto in rapporto al nocumento recato all’azienda, né al dolo (in questo caso comunque sussistente), ma bensì alla gravità del gesto, di per sé lesivo del vincolo fiduciario in maniera irrimediabile.

Ciò perché il comportamento fraudolento del dipendente è stato ritenuto sintomatico della sua inaffidabilità anche in previsione futura, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme – Praticante Consulente del Lavoro.