Sussiste la subordinazione tra familiari?

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Nella realtà produttiva italiana moltissime sono le aziende che si basano su una gestione per lo più a carattere familiare e, per tal ragione, va consolidandosi l’orientamento che ritiene lecito il rapporto di subordinazione tra familiari.

Accade però di sovente che, nel corso di un’ispezione, si accerti che uno dei lavoratori, assunto con regolare contratto di lavoro dipendente, non soggiaccia in realtà ai vincoli di subordinazione normalmente sottesi allo stesso, in base alle dichiarazioni rese dalla restante parte dell’organico. È spesso il caso della moglie o del figlio del titolare dell’attività, per i quali è di forte dubbio la configurabilità della subordinazione, per una serie di motivi, quali ad esempio la circostanza della convivenza  e la mancanza di etero direzione, con conseguente disconoscimento del lavoro subordinato.

Tale non è stato il caso di due fratelli, per cui a seguito di una lite tra i due, ci si è trovati di fronte alla circostanza opposta. Uno dei due dava una mano all’altro in negozio, fino a che tale circostanza non è divenuta un’abitudine, per la quale veniva corrisposta dal fratello una somma mensile fissa, in ragione di tale tipo di collaborazione.

Sta di fatto che, a seguito di ricorso, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 4535 del 27 febbraio 2018, ha statuito che nulla impedisce che tra fratelli possa instaurarsi un rapporto di lavoro subordinato ma anzi, nel caso di specie, il lavoratore era stato erroneamente tenuto a nero. Tra fratelli quindi, nonostante lo stretto grado di parentela, è configurabile la subordinazione ove sussistano gli elementi che la contraddistinguono.

L’art. 2094 c.c. descrive gli elementi necessari alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato:

-          Sottoposizione al potere di direzione del datore di lavoro , ovvero l’assoggettamento del lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (etero-direzione);

-          Continuità della prestazione;

-          Lavoro offerto in cambio del pagamento della retribuzione.

Nel caso de quo, la sorella del titolare era a completa disposizione dello stesso, senza margini discrezionali rispetto a scelte determinanti sul proprio lavoro, privo di una propria autonoma organizzazione, con rispetto dei vincoli di orario, con relativo rispetto di un orario di entrata e di uscita e la costante e sempre uguale remunerazione mensile (un vero e proprio stipendio).

Non poteva quindi rinvenirsi un rapporto collaborativo, ovvero una partecipazione all’attività dettata da motivi di assistenza familiare, né l’apporto di una prestazione resa di fronte a contingenti e variabili esigenze di vita.

Differente è il caso delle collaborazioni di familiari di tipo occasionale e non continuativo, per le quali si presume non sia reso alcun compenso, in una presunzione di gratuità in ragione del vincolo affettivo e di solidarietà che lega i membri di una famiglia.

La lettera circolare n. 50 del 15 marzo 2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ha fornito alcune linee guida utili (prima di tutto agli stessi ispettori, più volte tra di loro discordanti nelle valutazioni) all’individuazione della sussistenza o meno dell’obbligo previdenziale a favore dei collaboratori familiari dell’impresa, quando le collaborazioni vengono svolte occasionalmente.

Veniamo in primo luogo alla definizione di attività occasionale, caratterizzata dalla non sistematicità e non stabilità dei compiti espletati, di tipo non abituale e prevalente nell’ambito organizzativo dell’impresa e per questo gratuita.

Facilmente ravvisabili i casi rientranti nella suddetta definizione sono quelli costituiti da prestazioni fornite o da familiare pensionato o da familiare assunto a tempo pieno presso altro datore di lavoro, per i quali è in via presuntiva dedotto che non sia possibile offrire il proprio apporto con continuità.

Per quanto riguarda tutti gli altri soggetti, è stato stabilito il limite quantitativo di prestazioni pari a 90 giorni di lavoro nell’anno solare (720 ore), superati i quali scatta l’obbligo dei versamenti contributivi Inps.

Quanto al vincolo di parentela, le citate istruzioni vanno applicate nell’ambito di collaborazioni occasionali svolte da coniuge, parenti e affini entro il terzo grado, con la sola eccezione del settore agricolo, per cui vanno ricompresi parenti e affini anche di 4° grado.

La circolare specifica, in ultimo, che tali criteri non vanno considerati in modo assoluto, riservandosi il potere discrezionale di valutare l’occasionalità o meno della prestazione caso per caso, secondo i più generici principi di ragionevolezza, tramite verbali ispettivi però debitamente motivati.

Fattispecie del tutto differente e con limite molto più stringente riguarda la contribuzione Inail, il cui obbligo di iscrizione scatta se la prestazione viene resa più di 1-2 volte al mese, ovvero se la prestazione viene svolta per più di 10 giornate lavorative nell’anno solare.

 A cura del Dott. Ciro Abbondante - Cosnulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme - Praticante Consulente del lavoro.