Criteri di computo dei lavoratori a tempo determinato: applicazioni pratiche

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E’ noto che vi sono alcune disposizioni di legge che legano l’applicazione di una determinata disciplina al numero di lavoratori a tempo determinato presenti all’interno di un’unità produttiva, pertanto in questi casi sarà indispensabile individuare con esattezza i criteri di computo per capire qual è la fattispecie in cui si rientra.

 

Lavoratori a tempo determinato e contratto acausale

Il contratto a tempo determinato si caratterizza in primo luogo per l’apposizione di un dies ad quem, cioè di un termine finale che determina l’estinzione del  rapporto lavorativo e in secondo luogo per una ragione giustificativa dell’individuazione di detto termine. Tuttavia con riguardo a quest’ultimo requisito di recente è intervenuta la Legge Fornero che ha provveduto a mutare tale disciplina in un ottica di favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro a termine e flessibilizzare maggiormente il mercato del lavoro.

Prima della Legge Fornero il sistema era impostato verso una forte rigidità  in quanto era possibile un contratto a termine acausale solo:

-      nel settore del trasporto e servizio aereo;

-      per gli assunti dalle liste di mobilità

-      per i dirigenti assunti con contratto fino a 5 anni.

Quindi solo alle aziende operanti in quel determinato settore e solo per le categorie di lavoratori citate si poteva senza alcuna giustificazione procedere ad assumere con contratto a tempo determinato, in tutti gli altri casi era necessario inserire il c.d. causalone, cioè motivare l’apposizione del termine con ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo.

La Legge 92/2012 (legge Fornero) ha in parte rotto questo rigido schema permettendo la costituzioni di rapporti a termine acausale in due nuove ipotesi:

-      contratto collettivo di durata non superiore a 12 mesi;

-      in alcune situazioni definite dalla contrattazione collettiva e nel limite del 6% dei lavoratori impiegati nell’unità produttiva.

La prima ipotesi ha una forte portata innovativa, la legge per la prima volta ha esteso  ad ogni settore e ad ogni categoria di lavoratori la costituzione di rapporti a termine privi di causalone con il solo vincolo di imporre il tempo di durata massima del contratto.

La seconda ipotesi aggiunge nuove situazioni in cui è possibile omettere la causa del contratto, quale ad esempio l’avvio di una nuova attività, lancio di un nuovo prodotto o ristrutturazione dovuta ad un cambiamento tecnologico.

In questo caso la legge 92/2012 vincola il datore di lavoro a non superare il limite del 6 % dei lavoratori impiegati nell’unità produttiva, imponendo così un computo dei dipendenti. Se per i lavoratori a tempo indeterminato ciò risulta facile poiché ogni dipendente costituisce un’unità, non è così per i lavoratori a termine che sono impiegati spesso anche solo per pochi mesi, in questo caso non vale il rapporto lavoratore-unità.

L’art.4 della legge n. 68 del 1999 stabilisce che non sono computabili i lavoratori a termine con contratto a tempo determinato fino a 6 mesi. Corollario di questa disposizione è quella secondo cui un lavoratore assunto in sostituzione di un altro sarà comunque computato se il suo contratto ha una durata superiore ai 6 mesi. 

E’ necessario escludere dal computo anche i lavoratori:

-      assunti dalle liste di mobilità;

-      assunti in sostituzione di personale assente per congedo parentale;

-      stagionali con meno di 230 giornate lavorative nell’anno.

A proposito di lavoratori stagionali ai fini di valutare la loro computabilità vanno considerate le singole giornate lavorate, in particolare un dipendente stagionale sarà equiparato ad un unità di lavoro a tempo pieno e indeterminato solo se ha lavorato almeno 230 giornate lavorative nell’anno, al di sotto di questa soglia non sarà conteggiato.

 

Il computo dei lavoratori ai fini dell’art. 3 del d. lgs. n. 25/2007 e dell’art. 35 del d.lgs. n. 300/1970

La legge comunitaria del 6 agosto 2013 n. 97 all’art. 12 ha modificato i criteri di computo dei lavoratori a tempo determinato all’interno dell’organico aziendale ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali ex art. 35, d.lgs. 300/1970 e ai fini dell’applicabilità della disciplina sull’informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese con almeno 50 addetti.

La normativa ante riforma prevedeva l’esclusione dal computo dei lavoratori avente contratto di durata pari o inferiore ai 9 mesi.

 La legge comunitaria non ammette limitazioni al computo di lavoratori a tempo determinato, ma considera il numero medio di lavoratori impiegato negli ultimi 2 anni, in relazione all’effettiva durata di ogni singolo rapporto lavorativo.

Nel caso di prima applicazione della suddetta norma si dovranno calcolare i due anni precedenti a partire dal 31 dicembre 2013.

Esempio

Nel caso in cui all’interno di un’azienda siano presenti due lavoratori con contratti avente durata di 20 mesi e 6 mesi si dovrà procedere nei seguenti termini:

20+6 = 26 (pari alla somma della durata dei contratti dei due lavoratori)

Il risultato ottenuto viene diviso per 24 mesi in modo da avere il numero medio di lavoratori impiegato nei 2 anni precedenti:

26/24 = 1,08

Il risultato ottenuto dovrà essere arrotondato per difetto se è compreso tra 0,01 e 0,50, per eccesso se compreso tra 0,51 e 0,99. Nel nostro esempio andremo ad arrotondare per difetto e dovremo perciò concludere che il numero medio di lavoratori impiegati in azienda nei due anni precedenti è pari a 1 unità.

 

Il Coordinamento Scientifico

di Consulenza del Lavoro 3.0

(Società tra Professionisti)