La conciliazione e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento

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Un utile strumento per la risoluzione dei conflitti inerenti i rapporti di lavoro sono le procedure di conciliazione, le quali rappresentano un mezzo più rapido ed economico rispetto al classico ricorso giudiziale.

Le più rilevanti procedure di conciliazione, che si differenziano per l’iter da seguire per giungere all’incontro conciliativo tra datore di lavoro e lavoratore, sono due:

-      la conciliazione monocratica;

-      la conciliazione obbligatoria per licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

Le due procedure sono attivate per motivi diversi: la conciliazione monocratica, infatti, può essere preventiva o contestuale rispetto ad una ispezione da parte della DPL o della DTL, mentre la conciliazione obbligatoria presuppone l’esistenza di un provvedimento espulsivo del lavoratore per motivi dipendenti dall’azienda e dalle sue condizioni economico-finanziarie.

La conciliazione monocratica

La tipologia di conciliazione in esame si definisce monocratica perché non si svolge davanti ad una commissione, in quanto organo conciliativo è un funzionario od un ispettore della DPL. Tradizionalmente si riteneva che l’attività conciliativa fosse incompatibile con quella ispettiva poiché si poteva configurare un conflitto di interessi tra l’ispettore che in veste di conciliatore fosse venuto a conoscenza di fatti relativi ad un azienda e l’attività ispettiva che successivamente lo stesso avrebbe potuto effettuare nella medesima azienda. Oggi tale visione risulta superata, soprattutto nel caso di conciliazione monocratica preventiva, che come suggerito dalla denominazione si svolge prima dell’effettuazione dell’ispezione.

Oggetto della conciliazione monocratica sarà la rivendicazione del lavoratore di elementi retributivi o contributivi inerenti il rapporto di lavoro in questione, infatti la natura della richiesta del lavoratore deve essere esclusivamente di carattere patrimoniale.

Abbiamo accennato al fatto che la conciliazione monocratica può essere preventiva o contestuale. La conciliazione preventiva si definisce tale perché si esplica prima dell’effettuazione dell’ispezione da parte del personale della DPL e successivamente ad una richiesta d’intervento alla DPL. La conciliazione contestuale si attua in sede di un accertamento già in corso e quando l’ispettore verifichi la sussistenza di presupposti conciliativi.

La conciliazione monocratica non può essere esplicata quando:

-      siano già state accertate responsabilità penali del datore di lavoro;

-      vi siano richieste del lavoratore che esulano la sfera patrimoniale;

-      il contratto che regola il rapporto di lavoro in questione sia certificato ai sensi dell’art. 75, d.lgs. 276/2003, in tal caso infatti è obbligatoria la Conciliazione davanti alla Commissione di certificazione che ha adottato l’atto.

Ai fini dell’accertamento della responsabilità penale del datore di lavoro, va precisato che mentre ciò che avviene alla presenza dell’ispettore ed è da lui trascritto nel verbale fa prova fino a querela di falso, tutte le informazioni che invece l’ispettore apprende da terzi vanno considerate come elementi utili ad orientare il giudicante e quest’ultimo, pertanto, avrà piena discrezionalità sulla loro valutazione.

Ulteriore condizione di procedibilità della conciliazione monocratica è il consenso del lavoratore e del datore di lavoro all’esperimento della conciliazione. In verità sul punto il Ministero ha chiarito che il dissenso del lavoratore comunque manifestato non rappresenta un elemento preclusivo all’esperimento della conciliazione.

In sede conciliativa i datori di lavoro e i lavoratori si possono far assistere da un professionista abilitato, da un consulente del lavoro o dai propri rappresentanti sindacali dietro delega sottoscritta dal rappresentato.

Una volta esperita, la procedura di conciliazione si può concludere con un esito positivo. In tal caso viene stilato il verbale di conciliazione che contiene i termini dell’accordo che, se rispettato dal datore di lavoro, estinguerà la procedura ispettiva. Il datore di lavoro con la conciliazione si impegna a versare, entro il termine indicato nel verbale, le somme dovute a qualunque titolo al lavoratore e i contributi previdenziali e assicurativi derivanti dal rapporto di lavoro. L’accordo scritto nel verbale di conciliazione non può essere più impugnato dalle parti, da qui la grande importanza in termini di deflazionare il contenzioso giurisdizionale.

La suddetta procedura può avere anche esito negativo perché, ad esempio, una delle parti non si presenta o perché pur presentandosi non si raggiunge l’accordo conciliativo. In tal caso la DPL darà seguito all’attività ispettiva.

Si fa presente che l’esito negativo di questa procedura di conciliazione ha effetti anche sull’esperimento della conciliazione obbligatoria per licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Per ragioni di celerità delle procedure volte a far valere i diritti dei lavoratori si ritiene che l’esperimento negativo di una conciliazione monocratica esaurisca la necessità di esperire quella obbligatoria, in modo da pervenire direttamente al giudizio.

La procedura obbligatoria di conciliazione in caso di licenziamenti per GMO

La procedura di conciliazione deve essere obbligatoriamente attivata nel caso di provvedimento espulsivo del lavoratore dovuto a motivi oggettivi e quindi collegati a particolari esigenze aziendali o peculiari condizioni economiche.

Questa procedura riguarda solo le aziende che abbiano occupato nei sei mesi antecedenti un numero medio di lavoratori superiore a 15 in ciascuna sede, filiale o stabilimento, o anche nello stesso comune, oppure occupino più di 60 dipendenti su scala nazionale. Per individuare se un’azienda rientra o meno nell’obbligo di effettuare la conciliazione si dovranno computare anche le seguenti categorie:

  • lavoratori part-time in relazione all’orario di lavoro prestato;
  • lavoratori intermittenti in relazione alle ore e ai giorni lavorati.

Abbiamo accennato che la procedura obbligatoria di conciliazione va applicata soltanto se il licenziamento è dovuto a motivi oggettivi, cioè dipendenti dall’azienda e non da lavoratore quali ad esempio:

-       la chiusura di un cantiere;

-      la ristrutturazione aziendale;

-       la soppressione del posto di lavoro;

-       il cambio di appalto.

Si fa presente che questa procedura sarà applicata solo in presenza di un numero di licenziamenti inferiore alle 5 unità, nel caso il numero sia superiore, infatti, non si dovrà esperire questa procedura, ma quella per la riduzione collettiva del personale.

La procedura inizia con l’invio al lavoratore della lettera di licenziamento in cui si comunicano i motivi del licenziamento e la data da cui decorre e l’invio dell’analoga comunicazione alla DTL competente. La direzione territoriale a sua volta entro 7 giorni deve inviare alle parti l’invito a comparire e dalla data di convocazione, si calcolano i 20 giorni entro i quali, al di là di eventuali sospensioni, la procedura deve essere terminata. Il suddetto termine non è però inderogabile in quanto le parti se ritengono necessario ulteriore termine per arrivare ad un accordo possono chiedere una proroga.

Una volta che il contraddittorio tra le parti è stato così instaurato in vista di una conciliazione, si potranno avere diversi esiti:

-      in un primo caso potrà accadere che il giorno della convocazione il lavoratore non si presenta e in tal caso si conferma la volontà espulsiva del datore di lavoro;

-      in un secondo caso può accadere che si raggiunge un accordo tra datore di lavoro e lavoratore con eventuali corresponsioni di somme a favore del lavoratore;

-      in un ultimo caso può avvenire che il tentativo di conciliazione fallisce o comunque una delle due parti abbandona la conciliazione.

Rinuncia all’impugnazione del licenziamento nel caso di mancato esperimento della conciliazione

Può accadere che un’azienda che abbia più di 15 dipendenti e che sarebbe tenuta in teoria ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione, proceda al licenziamento senza effettuare alcuna comunicazione alla DTL per l’attivazione della procedura conciliativa.

In tal caso si discuteva se in sede di conciliazione sindacale il lavoratore potesse rinunciare al proprio diritto di impugnare il licenziamento illegittimo per mancato rispetto dell’art. 7 della legge n. 604/1966. La questione è stata recentemente risolta nella risposta all’Interpello del 22 gennaio 2014. Il Ministero ha stabilito che tale diritto rientrerebbe nei diritti disponibili ai sensi dell’art. 2113 del c.c. e che quindi il vizio procedimentale possa essere indirettamente sanato dalla rinuncia all’impugnazione del lavoratore effettuata in sede sindacale.

Il Coordinamento Scientifico

di Consulenza del Lavoro 3.0

(Società tra Professionisti)