Quando il verbale di conciliazione sindacale potrebbe essere annullabile.

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Il procedimento di conciliazione sindacale, quale procedura tesa a ricomporre una controversia sorta tra datore di lavoro e lavoratore attraverso la quale i due si fanno reciproche concessioni, è contraddistinto dall’essere una transazione immediatamente valida e non impugnabile nel termine di sei mesi.

Ciò in quanto i due soggetti raggiungono l’accordo tramite l’assistenza fornita dal sindacato quale soggetto conciliatore, esimendo il lavoratore dalla naturale condizione di soggezione nei confronti del datore di lavoro; questo purché l’assistenza sindacale sia effettiva e ponga realmente il lavoratore nelle condizioni di conoscere in maniera tangibile a quale diritto rinunci ed in che misura, e che venga espletata attraverso il rispetto della procedura conciliativa prevista dai contratti collettivi.

Tuttavia infatti, il verbale di conciliazione può essere impugnato ove manchino i requisiti che lo rendono valido, elencati di seguito:

-          L’accordo conciliativo deve risultare da un documento sottoscritto da entrambe le parti, nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore;

-          Il verbale deve avere ad oggetto diritti determinati, poiché in caso di indeterminabilità  e genericità dell’oggetto, il lavoratore non può avere consapevolezza dei diritti ai quali rinuncia;

-          Il verbale non può avere ad oggetto diritti non ancora maturati, né operare sul rapporto previdenziale, essendo in tali casi l’accordo nullo per mancanza dell’oggetto;

-           È necessaria la reale presenza di una lite e di una pretesa della controparte quale causa della conciliazione;

-          Infine può essere richiesto annullamento dell’atto se sussistono vizi nel consenso fornito dal lavoratore quali l’errore, la violenza o il dolo.

Mentre l’individuazione dei primi requisiti può essere di più immediata determinazione o comunque deducibile grazie all’interpretazione del documento, interessante è l’analisi dell’ultimo requisito.

Un valido esempio in proposito è fornito dalla sentenza n.8260/2017 della Corte di Cassazione, che definisce annullabile per dolo la conciliazione sindacale se il datore di lavoro dichiara in esubero una posizione che successivamente affida ad un neoassunto.

In questo caso il lavoratore sarebbe stato tratto volontariamente in inganno poiché convinto, al momento della sottoscrizione dell’accordo, che la sua posizione professionale rientrasse tra quelle eccedenti e quindi che sarebbe stata eliminata.

L’assunzione di un altro lavoratore nella sua stessa mansione fa desumere la sussistenza del vizio del consenso dell’atto, poiché il lavoratore sarebbe stato dolosamente tratto in inganno, sia pur con azioni omissive.

Infatti, anche una condotta di silenzio maliziosa risulta idonea ad integrare un raggiro, poiché idoneo di per sé ad influire sulla volontà negoziale del lavoratore.

A cura del Dott. Ciro Abbondante - Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme - Praticante Consulente del Lavoro.