E' possibile utilizzare il telepass come prova ai fini disciplinari?

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È possibile per il datore di lavoro controllare a distanza il lavoratore? Se sì con quali limiti? Uno strumento quale ad esempio il telepass può essere utilizzato come prova ai fini disciplinari?

La risposta alla prima domanda è sia un sì che un no. Infatti, in base all’art. 4 c. 1 dello Statuto dei lavoratori, così come è stato modificato dal Jobs Act, la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori è possibile solo ed esclusivamente quale strumento rispondente all’esigenza del datore di lavoro di organizzare al meglio e nella maniera più efficiente la produzione, di assicurare la sicurezza sul lavoro e la tutela del patrimonio aziendale. Ciò non toglie però che, in maniera indiretta e del tutto consequenziale, il datore di lavoro si possa effettivamente trovare nella condizione di “monitorare” e quindi controllare l’effettiva attività lavorativa del dipendente, tanto più al giorno d’oggi grazie a tutte le apparecchiature tecnologiche che ognuno di noi possiede e diventate necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa (quali smartphone, gps, tablet, telepass appunto, etc). Ed è questo il punto più interessante cui conviene soffermarsi.

Infatti, il c. 1 del sopra citato articolo definisce la liceità e legittimità dell’installazione di strumenti di controllo (quale ad esempio una videocamera), soltanto previo accordo preventivo stipulato con la rappresentanza sindacale unitaria oppure aziendale o, in caso di esito negativo dell’accordo stesso, previa autorizzazione preventiva all’Ispettorato nazionale del lavoro, di modo che il lavoratore venga informato sulla potenzialità di qualunque strumento di controllo installato.

Ma il c. 2 dello stesso articolo, esclude la necessità della sopracitata procedura legittimante per tutti gli strumenti utilizzati necessari al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa. Non essendo soggetta a vincoli autorizzativi, la questione è molto delicata, dovendosi preservare il diritto alla privacy del lavoratore in osservanza dei principi dettati dal D.Lgs. n. 196/2003.

Uno strumento quale il telepass, attraverso l’estratto conto degli addebiti dei pagamenti dei pedaggi autostradali, può dare contezza al datore di lavoro degli spostamenti dei lavoratori, con esclusione ovviamente, in caso di utilizzo promiscuo dell’auto, di ogni ingerenza in momenti estranei alla prestazione di lavoro. Potendo rientrare nelle fattispecie non autorizzate incluse nel c. 2 del sopracitato articolo, sorge il dubbio circa l’ammissibilità o meno di utilizzare i dati del telepass come prova per l’instaurazione di un provvedimento disciplinare.

La risposta è affermativa, sovvenendo il comma 3 a chiarire ogni dubbio. Esso riconosce infatti l’utilizzabilità delle informazioni raccolte dal datore di lavoro a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, e quindi anche e soprattutto a fini disciplinari, indipendentemente dal fatto che la loro installazione sia riconducibile al primo o al secondo comma dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.

È fondamentale quindi il corretto inquadramento a monte della fattispecie, essendo molto labile il confine circa la necessarietà o meno del telepass ai fini lavorativi, per evitare che il dipendente non abbia piena consapevolezza e informazione circa il livello di controllo su di lui esercitato e delle conseguenze cui potrebbe andare incontro.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme Praticante Consulente del Lavoro.