Ansia e depressione da lavoro.

indietro

L’integrità psico-fisica dell’uomo, quale diritto di ogni persona alla salute, è costituzionalmente garantita dal nostro ordinamento (art. 32 Cost.).

Quando un soggetto subisce una lesione nel fisico o nella psiche, si realizza un danno, definito biologico, poiché non è un danno di natura patrimoniale, laddove inerisce la lesione di interessi della persona non connotati da rilevanza economica, ma in ogni caso risarcibile.

Il risarcimento del danno e la sua liquidazione vanno valutati nel rispetto del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), attraverso la lettura di tabelle di calcolo che tendono all’affermazione di criteri uniformi  per ovviare disparità di trattamento tra casi simili.

Ovviamente anche sul luogo di lavoro il soggetto ha diritto alla tutela della sua salute (legge 300/70, art. 2087 c.c.), ma potrebbe accadere che il datore di lavoro metta in atto comportamenti lesivi della salute dell’individuo, configurando il risarcimento del danno biologico, inteso in senso molto ampio.

Sappiamo che ansia e depressione, quali malattie tipiche del nostro secolo, derivanti molto spesso dall’incapacità di adattamento all’ambiente circostante, di relazionarsi con altri individui e dall’insoddisfazione personale, scaturiscano spesso anche da situazioni lavorative connotabili come negative per svariati motivi. Tale danno psichico, pur potendosi valutare anche solo come danno morale, è stato inglobato nella sfera del danno biologico.

Pur essendo più difficile da valutare rispetto ad un danno di natura prettamente fisica, il danno psichico ha assunto rilevanza negli ultimi anni, a seguito della crescente tutela riservata alla salute di ogni individuo ed alla accertata rilevanza di tali fenomeni.

Va però sottolineato che risulta molto difficile l’accertamento di tale tipo di danno, che non profila elementi di certezza in particolar modo in merito alla correlazione tra il disagio psichico ed il presunto comportamento che lo avrebbe determinato. Infatti, proprio a fronte della proliferazione di disagi di questo tipo, è giusto tutelare la salute del dipendente ma bisogna anche scongiurare l’evenienza che possa essere ingigantito o stigmatizzato un comportamento del datore di lavoro al fine di ottenere maggiore vantaggio economico.

Si pensi ad esempio al caso di un lavoratore che sia stato licenziato e che creda che la sua depressione derivi da tale provvedimento: questo potrebbe ben accadere e, come vedremo di seguito, è ammissibile il risarcimento del danno in un caso del genere; quello che però andrebbe evitato è che l’impugnativa di licenziamento da parte del dipendente che indichi un danno biologico di tale tipo correlata al provvedimento disciplinare stesso, possa essere di tipo pretestuoso, soprattutto a fronte di una difficile possibilità di difesa da parte del datore di lavoro davanti alla ipotetica aleatorietà del danno stesso.

Per questa ragione, è Il lavoratore che deve provare l’esistenza del danno e il nesso di causalità tra il presunto comportamento lesivo del diritto alla salute ed il danno stesso.

Varie sono le casistiche che potrebbero determinare disagio psichico al lavoratore e per le quali il datore di lavoro potrebbe essere tenuto alla liquidazione del danno biologico e ne elencheremo alcune.

In primo luogo, il caso più ovvio del mobbing, quale forma di terrore psicologico messo in atto nell’ambiente di lavoro, che determina gradatamente l’incapacità dell’individuo che ne è destinatario di reggere il contesto lavorativo circostante.

In secondo luogo il datore di lavoro dovrebbe fare attenzione al demansionamento che, pur se spesso viene comprensivamente attuato onde evitare il licenziamento del dipendente in periodo di crisi economica e di calo del fatturato,  rappresenta un declassamento del lavoratore rispetto alla mansione per la quale era stato assunto che, oltre a determinare un danno patrimoniale al lavoratore, può minare la dignità dell’individuo e quindi essere lesivo della sua autostima.

Infine come accennato poc’anzi, il danno biologico può essere individuato in caso di licenziamento. Infatti, può accadere che in caso di licenziamento legittimo ma scorretto nelle modalità perché attuato con modalità persecutorie, offensive o vessatorie, possa configurarsi un danno autonomo, non assorbibile dalla questione della legittimità o meno del licenziamento stesso, purché tale danno morale sia provato da chi lo adduce.

Nei casi invece di licenziamento illegittimo, se questo provoca uno stato depressivo cronico al dipendente, oltre al risarcimento del danno patrimoniale, potrebbe spettare anche il risarcimento del danno biologico, restando al giudice la valutazione rispetto alla quantizzazione dello stesso.  

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme Praticante Consulente del Lavoro.