La contestazione disciplinare deve essere tempestiva!

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Il procedimento della contestazione disciplinare, quale fase propedeutica all’eventuale comminazione di sanzioni disciplinari, conservative o espulsive (licenziamento per giusta causa), deve seguire ben precisi principi, violati i quali l’eventuale sanzione stessa può essere considerata inefficace.

Uno di questi requisiti è l’immediatezza e la tempestività della contestazione, così come disciplinato dall’art.7 legge 300/1970, secondo cui il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

Con la sentenza n. 25021 del 23 ottobre 2017, la Corte di Cassazione, intervenendo sui tempi di effettuazione della contestazione disciplinare al lavoratore che commetta una presunta mancanza, conferma e ribadisce precedente orientamento. A tal proposito, ribadisce il sopracitato principio, statuendo che la contestazione disciplinare deve essere tempestiva nonché non mossa al fine di provare l’assoluta certezza dei fatti contestati, ma nella sincera richiesta di giustificazione del fatto, in merito al quale va data possibilità al lavoratore di presentare le dovute giustificazioni.

Infatti l’interesse del datore di lavoro all’acquisizione di ulteriori elementi a suffragio della colpevolezza del lavoratore è indubbiamente lecito, ma non può pregiudicare il diritto di quest’ultimo ad organizzare una pronta difesa.  

Bisogna inoltre considerare ragionevole l’ipotesi secondo cui, a fronte della mancata tempestiva contestazione e conseguente provvedimento disciplinare, il lavoratore possa essere giustamente indotto a credere che il datore di lavoro abbia considerato lecito il comportamento messo in atto,

considerando l’atteggiamento del datore di lavoro come valido a ritenere esclusa un’ipotesi espulsiva, soprattutto nel caso in cui siano già stati messi in atto comportamenti dal datore di lavoro stesso indicativi di un atteggiamento di tipo conservativo.

Il ritardo del datore nel reagire porterebbe quindi ad escludere la giusta causa di licenziamento, venendo ad essere inteso come tolleranza del datore della condotta del dipendente ovvero come sostanziale compatibilità della condotta con la prosecuzione del rapporto.

Secondo il consolidato orientamento di giurisprudenza, l’immediatezza deve inoltre essere sempre intesa in senso relativo, tenendo conto del momento in cui il datore viene a conoscenza dei fatti addebitabili al dipendente, rilevando a tal proposito il momento in cui il datore di lavoro ne ha avuto piena conoscenza.

Il rispetto del principio di immediatezza, va quindi sempre valutato alla stregua dei principi generali della correttezza e della buona fede, soprattutto in luogo del fatto che la contestazione non sia un obbligo, ma bensì una facoltà del datore di lavoro, condizione che non deve quindi negare la possibilità al dipendente di addurre giustificazioni a sua difesa o che non lo tragga indirettamente in “inganno” rispetto alla tolleranza o meno verso i comportamenti da lui posti in essere.

A cura della Dott.ssa Rosaria Pilato – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme – Praticante Consulente del Lavoro.