Il dipendente può chiedere un anticipo sullo stipendio?

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Il dipendente, in costanza di rapporto di lavoro subordinato, gode di molteplici diritti e facoltà, talvolta anche se inconsapevole delle stesse.

Rientra tra le facoltà del lavoratore richiedere un anticipo di stipendio in busta paga. Ma com’è possibile ciò? Esiste una qualche norma che disciplina in che modo farne richiesta?

In primo luogo, non esiste nessuna norma che disciplina la materia o che obbliga il datore di lavoro ad anticipare parte della retribuzione prima del termine previsto dal CCNL di riferimento applicato. Inoltre, non esiste una procedura da seguire, pena un’eventuale sanzione.

Ciò nonostante, è possibile erogare un anticipo di stipendio in busta paga e tale possibilità è rimessa alla sola volontà delle parti e alle regole aziendali.

In secondo luogo, è consigliabile presentare una domanda per iscritto, dettagliatamente motivata. Una volta deciso a quanto ammonta l’acconto da erogare, il datore di lavoro dovrebbe far firmare al dipendente una ricevuta, con la quale specifica sia l’importo che la mensilità a cui l’anticipo è riferito.

Ad esempio, un dipendente che dovrà ricevere lo stipendio di euro 1.000, entro il giorno 10 del mese successivo a quello lavorato, richiede un anticipo, di euro 600, il giorno 1. Il datore di lavoro decide di concederglielo e nella busta paga sarà indicato l’acconto già erogato al lavoratore. Successivamente, l’importo originario sarà decurtato in modo da corrispondergli la sola differenza.

Ricordiamo che dal 1 luglio 2018 entrerà in vigore il nuovo obbligo per i datori di lavoro, i quali dovranno erogare ai lavoratori la retribuzione o eventuali anticipazioni di essa, con modalità di pagamento tracciabili.

Dunque, la retribuzione andrà corrisposta attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi:

  • Bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
  • Strumenti di pagamento elettronico;
  • Pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
  • Emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni.

Il pagamento non potrà più essere erogato in contanti ma esclusivamente con strumenti tracciabili e, pertanto, la firma posta dal dipendente sul cedolino non ha più valore legale. In caso contrario, il datore di lavoro sarà soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria, consistente in una somma che oscilla tra i 1.000 e i 5.000 euro.

L’avvenuto pagamento sarà dimostrato solo con la movimentazione bancaria, con la ricevuta di ritiro del denaro allo sportello bancario o postale o, per ultimo, la matrice dell’assegno con la tracciabilità bancaria dello stesso.

 A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Bianca Panico – Praticante Consulente del Lavoro.