Licenziamento per superamento del comporto : nullo se intimato in anticipo.

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Il licenziamento per superamento del periodo di comporto, ovvero del lasso di tempo entro il quale il dipendente in malattia ha diritto alla conservazione del posto, si configura come autonoma fattispecie di licenziamento, cioè indipendente e lecita senza la necessità che vi siano ulteriori motivazioni a suffragarla.

Statuito dall’art. 2110 c.c., il licenziamento è ammissibile quindi per la sola circostanza che il dipendente abbia superato il periodo di comporto ed indipendentemente dall’impatto che l’assenza del lavoratore abbia potuto avere sull’impianto organizzativo e produttivo aziendale.

Il periodo di comporto differisce a seconda del contratto collettivo applicato, cui va sempre data rigorosa lettura ed applicazione, onde evitare errori nel calcolo dello stesso. La ratio sottesa alla fattispecie, è quella di creare un punto di equilibrio fra l’interesse del datore di lavoro a non subire conseguenze rilevanti a seguito della prolungata assenza del lavoratore, e quello di quest’ultimo al proprio ristabilimento psico-fisico, ciò soprattutto in ossequio al diritto alla salute costituzionalmente riconosciuto (art. 32 Cost.).

In ragione di quanto esposto, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 12568 del 22 maggio 2018, dichiara nullo il licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato prima che il periodo di comporto stesso sia stato effettivamente superato. La diversa statuizione secondo cui il licenziamento sarebbe dovuto essere considerato soltanto inefficace fino all’effettivo realizzarsi della scadenza del periodo di comporto, non può essere accolta.

Ciò in quanto innanzitutto si tratterebbe di un licenziamento acausale e, in secondo luogo, perché i requisiti di validità del recesso vanno valutati al momento del recesso stesso e non in occasione dell’effettiva realizzarsi della fattispecie legittimante il recesso, in tal caso il superamento del periodo di comporto.

Nel caso di specie, inoltre, il lavoratore era rientrato in azienda per riprendere servizio, ma il datore di lavoro richiedeva un attestato di avvenuta guarigione, onere che certamente nessuna disposizione di legge prevede.

A nulla sono valsi i richiami a presunte precedenti sentenze della Corte di Cassazione, con le quali essa interpretava la questione in senso opposto, e cioè riconoscendo la sola inefficacia momentanea del licenziamento intimato prima dell’effettivo superamento del periodo di comporto.

Nel caso richiamato e precisamente, la sentenza n. 1151/88, il lavoratore era in una situazione di malattia irreversibile, a tal punto da rendere certa l’ipotesi che esso non sarebbe stato in grado di riprendere l’attività lavorativa. In tale situazione eccezionale, di sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente, vi era già un diverso motivo di recesso, autonomo dal mero protrarsi della malattia, che legittimava il recesso intimato prima del superamento del periodo di comporto.

La Corte specifica inoltre che anche un eventuale errore di calcolo del periodo di comporto, comporta la nullità del licenziamento, fermo restando che lo stesso potrà essere nuovamente intimato una volta che il termine massimo delle assenze del lavoratore venga effettivamente superato.

A cura del Dott. Ciro Abbondante – Consulente del Lavoro e della Dott.ssa Vincenza Salemme.